venerdì 21 novembre 2008

Concorsi truccati, «Io raccomandata pentita, mi sono riscattata...»

MILANO - Dare spazio alle denunce oppure spiegare il meccanismo cioè come si fa a truccare un concorso nelle università italiane? Citare a caso qualcuna tra le centinaia di segnalazioni che ci sono arrivate da Milano, Roma, Avellino, Bari o scegliere solo alcuni casi emblematici?

LA LETTERA - Ecco il testo di Lucia (nome di fantasia): «Io ottenni una borsa di studio dottorale messa in palio dall'università di ... che fu finanziata dall'ente pubblico presso il quale lavoravo, ergo: era la mia borsa di dottorato. Volevo fare il dottorato da quando mi ero iscritta all'università; non sono nè figlia nè nipote di, ma ero l'assistente di... In attesa nel concorso trovai un posto come consulente presso un ente pubblico, nel quale mi occupavo della stessa materia della mia tesi, e il mio Professore «arrangio» il finanziamento. Mi presentai al concorso. Mi sedetti coi 7 partecipanti; si fecero gli scritti a porte aperte e gli orali a porte chiuse. Vinsi, ovviamente, la borsa. Sono pronta a difendere quanto le sto per dire sotto giuramento: mi creda quando le dico che non ci dormivo la notte, mentre questa prassi (di raccomandazione o finanziamenti ad hoc) era del tutto accettata, e non criticata, dai dottorandi che ne usufruivano.

I DUBBI - Io invece mi chiedevo in continuazione: sono un dottorando perché sono veramente dotata in questo campo o perché sono l'assistente di con la borsa finanziata da? Le sembrerà banale e invece è un punto chiave: quel che i dottorandi si sentono dire è infatti che, in virtù della mancanza di risorse, «vanno create le occasioni» per poterli mandare avanti. Mi domandavo: mi mandano avanti perché sono bravo, o sono bravo perché mi mandano avanti? Inutile dirle infatti che io ricerca, negli 8 mesi che resistetti, non ne feci mai. Feci solo, e tanta, assistenza. Senza mai sentire NESSUNO lamentarsene oltre misura. Torturata - letteralmente - da una profonda insicurezza circa le mie reali capacità e la mia volontà di sostenere un compromesso che mi sembrava, di fatto, una truffa venduta come «l'aver creato l'occasione», mi iscrissi di nascosto ad un secondo concorso al Politecnico di Milano. Mi alzai alle 4 del mattino per presentarmi al concorso senza sapere nulla nè della commissione nè dei partecipanti, e vinsi la seconda borsa in palio; inutile dire che si fecero scritti e orali a porte aperte. Ricordo il messaggio che spedii a mia sorella con le lacrime agli occhi «una vittoria mia, ma una vittoria di tutta l'università italiana». Di li a poche settimane mi chiamò per una intervista di lavoro un politecnico olandese per un posto di assistente alla ricerca, sulla base del mio mero curriculum vitae, e mi fu offerto il posto. Me ne andai, e non mi sono mai voltata indietro.

Nino Luca
18 novembre 2008

COMMENTO

L'università italiana è sempre più truccata e corrotta, al giorno d’oggi una laurea vale poco nel mondo del lavoro, ma questo non vuol dire che sia alla portata di tutti, anche se ormai chiunque può aggiudicarsela, e se non si riesce con i metodi classici il Dio denaro o le raccomandazioni risolvono tutto. Ma ci si sente veramente appagati di quel foglio senza valore? Lucia, la ragazza che nell’articolo racconta la sua storia non ne è convinta, infatti lei vinse una borsa di dottorato grazie alla raccomandazione di un suo Professore. Questo le procurò un grande rimorso e una profonda insicurezza, che non riuscì ad abbandonare fino a che non vinse un concorso e trovò un lavoro con le sue sole forze. La cosa che più mi sconvolge è che, come scritto nell’articolo “questa prassi (di raccomandazione o finanziamenti ad hoc) era del tutto accettata, e non criticata, dai dottorandi che ne usufruivano.” Non ci sono scrupoli, i rimorsi di Lucia sono più unici che rari, ma questi “dottori” troveranno veramente il loro posto nel mondo? Si sentiranno mai orgogliosi di loro stessi? Otterranno il rispetto degno della posizione che occupano nel mondo del lavoro? Secondo me no. Solo chi avrà la volontà e il senso di dignità di non accettare il compromesso cui le università italiane chiamano la nostra coscienza vivrà una vita degna di questo nome. Concordate?

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